Il formaggio dei poveri alla conquista del mondo

Capitale del Gorgonzola è la “brumal Novara” come definita dal Carducci, città piemontese che parla lombardo: qui si custodisce ancora la memoria di quel treno merci carico di questo formaggio che, ogni settimana, sbuffava deciso verso l’Inghilterra all’inizio del secolo scorso. Qui a Novara, i più anziani lo chiamano ancora – nel dialetto più schietto e genuino – ‘chèga’. Per loro (che, fortunatamente, non potevano permettersi il biglietto del Titanic), il Gorgonzola è sempre stato, semplicemente, il gustoso rompidigiuno delle lunghe giornate al lavoro, trascorse in fabbrica o nei campi. Con la sola aggiunta di un tozzo di pane, e senza troppe pretese di nobiltà. L’origine del chèga – nel nome e nella sostanza – rimanda direttamente alle nozioni casearie dei popoli celti: il Gorgonzola appartiene infatti alla grande famiglia degli erborinati europei con l’autorevole compagnia, ad esempio, di Stilton, Roquefort e degli altri blue-cheese e fromage bleu britannici e francesi: insomma, i coevi di Asterix e Obelix, con ogni probabilità, ne andavano ghiotti. Certa è anche la passione di Carlo Magno per questi formaggi con le caratteristiche ‘muffe’, tanto da ordinarne regolari rifornimenti per il suo palazzo di Aquisgrana. Il lessico che definisce il Gorgonzola è importante e curioso, a partire dal nome stesso che fa riferimento all’omonima cittadina lombarda (beffardo, il Manzoni ci restituisce nei Promessi Sposi l’immagine di un Renzo che vi si dirige, appunto, “con il nome di Gorgonzola in bocca”). Erborin, invece, nel dialetto lombardo significa prezzemolo: che, con la produzione di questo formaggio, non centra nulla salvo richiamarne, nel colore, le caratteristiche venature verdognole. Allo stesso tempo, si tratta di un formaggio stracchino, termine che indica le vacche ‘stracche’ (stanche) che, dai pascoli estivi in quota, tornavano appunto nella piana lombarda, al centro della quale c’è appunto la cittadina di Gorgonzola.

Le tipologie di Gorgonzola in realtà sono due, e la differenza non è da poco: il Gorgonzola ‘dolce’ (quello più delicato cremoso) si distingue infatti da quello ‘piccante’, che ne indica la versione più robusta e compatta. Si tratta dei due termini esatti contemplati dal disciplinare, che pure ne stabilisce area e modalità di produzione. Si tratta, infatti, di un formaggio a Denominazione di Origine Protetta (dal 1966), che si può produrre in determinate aree di Piemonte e Lombardia: le province di Novara (dove oggi si concentra la maggioranza dei caseifici e dove ha sede il consorzio di tutela) Vercelli, Cuneo, Biella, Verbania, alcune zone del Monferrato, oltre alle lombarde Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Pavia e Varese. Inoltre ogni forma deve essere marchiata all’origine e riportare sempre l’indicazione del caseificio in cui è stata prodotta. Perché possa essere venduto come tale, il gorgonzola Dop deve essere avvolto in fogli di alluminio recanti la [CG]  del Consorzio senza la quale il formaggio semplicemente non è Gorgonzola.

Camera Commercio Novara. Servizio immagini Studio Giuseppe Galliano

Erborin, in dialetto lombardo, significa prezzemolo. Che col Gorgonzola non c’entra nulla, salvo ricordare il colore delle caratteristiche ‘venature’ verdi, le ‘muffe’ che lo rendono così speciale e curioso. Un tempo, lo sviluppo delle muffe era spontaneo e conseguente all’assemblaggio di due diverse cagliate, quella della mungitura serale e quella mattutina. Oggi si utilizza il latte di una sola cagliata, con l’aggiunta del penicillium glaucum, una ‘muffa’ che appartiene alla famiglia della penicillina. Dolce e piccante. Sono le due tipologie in cui si declina il Gorgonzola. E, anche qui, occhio alla definizione. Il ‘dolce’ è quello cremoso, anche se di zucchero non c’è ombra, mentre il ‘piccante’ non vede né pepe né peperoncino, ma è chiamato così per il gusto virile, e pronunciato.

Nel Novarese (dove si concentra oggi la maggioranza della produzione), il dialetto contempla anche una distinzione di genere, tra ‘la’ Gorgonzola (dolce, cremosa) e ‘il’ Gorgonzola piccante, a pasta più compatta e, insomma, più ‘maschio’. Le stagionature sono variabili, di 50 giorni per il ‘dolce’ e 80 per il piccante, ma si arriva normalmente a stagionature medie di 90 e 140, rispettivamente.

ERA LA CARNE DEI POVERI – Il Gorgonzola (al maschile) spalmato sul pane era il pasto quotidiano di operai e contadini, sostituito talvolta dalla minestra nel portavivande metallico (in lombardia ‘schiscéta’): una ‘bistecca dei poveri’ piuttosto gustosa, passibile di molteplici varianti sempre ‘low cost’, come quella che contempla l’aggiunta di un’acciuga sfilettata e salata.

COME SI FA IL GORGONZOLA

La produzione del gorgonzola è uguale a quella di qualunque altro formaggio, ovvero si basa sulla presenza di latte, sempre latte vaccino per cui non latte di pecora, caglio, che è una sostanza in grado di rendere solide le proteine, altrimenti in forma liquida, presenti nel latte (le caseine) e il sale, che conferisce sapore al formaggio.

Il latte viene addizionato al caglio, quindi, e il latte si separa in due fasi, una solida e l’altra liquida; quella liquida viene allontanata e avrà altri scopi, mentre quella solida viene presa e messa in alcune forme, che avranno un peso finale di circa dodici chili ciascuna. Queste forme vengono lasciate riposare per 50 giorni nel caso del Gorgonzola Dolce, circa 80 nel caso del Gorgonzola piccante, che infatti è più solido rispetto all’altro.

Odore e le striature: Non è un caso che mi sia dimenticato il passaggio fondamentale che distingue il Gorgonzola da tutti gli altri formaggi, ovvero le colture fungine. Insieme al caglio, infatti, vengono aggiunti alcuni microrganismi detti starter alla pasta, che iniziano le reazioni chimiche che si verranno a formare, e verranno aggiunte anche delle colonie di funghi del genere Penicillium, che sono il Penicillium glaucum per il Gorgonzola Dolce e il Penicillium roqueforti per quello piccante, che cresceranno all’interno della forma. Il piccante, infatti, non è dato dal peperoncino (che da disciplinare non si può usare), ma da molecole prodotte proprio dal fungo che danno il caratteristico sapore al prodotto finale.

I funghi vengono messi all’inizio della produzione, e questo è possibile perché il formaggio non viene cotto (altrimenti morirebbero), ma solo il latte pastorizzato prima di mettere il caglio. Però nei primi 12 giorni dalla produzione queste colonie non crescono, per un motivo: sono funghi che, per proliferare, hanno bisogno di ossigeno e se non c’è loro non riescono, per forza, a crescere.

Una lavorazione caratteristica: Ecco quindi un passaggio fondamentale nella produzione del Gorgonzola: proprio per questo motivo, le forme vengono forate prima da una parte, poi dall’altra, in vari punti; facendo questi fori si fa in modo che l’ossigeno entri all’interno della pasta e in questo modo le colture, di color verde/blu, hanno modo di crescere almeno nei punti dove la pasta è a contatto con l’ossigeno; è per questo che il formaggio non è di colore uniforme ma le striature colorate sono disposte ad alberello nella forma, tipo ad abete, con alcuni “abeti” con la base in basso e altri con la base in alto. Fateci caso la prossima volta che lo comprate.

Sono proprio queste colture fungine a conferire il tipico sapore e odore a questo formaggio, che ad alcuni piace, ovviamente ad altri no (bisogna rispettare i gusti di tutti, chiaramente) ma che con una tradizione secolare riesce a dare, insieme da altri prodotti, un nome importante e caratteristico al nostro paese in tutto il mondo: come altri formaggi, infatti, il Gorgonzola è un prodotto che molti ci invidiano e cercano di copiare, ed è per questo che è arrivata la tutela legale del prodotto: quando lo mangiate, sappiate che avete in bocca secoli di cultura e di tradizione di una terra.

Esiste anche una APP – A Novara, si sa, il gorgonzola è un prodotto principe che ha fatto la storia della cucina locale, esportando un po’ in tutto il mondo, deliziose ricette e abbinamenti anche inconsueti ma impossibili da non provare… Da oggi, per i più tecnologici, c’è anche un’applicazione scaricabile sia da iOS che da Android tramite la quale potrete conoscere tutti i segreti del gorgonzola, con ricette firmate anche dallo chef Cannavacciuolo.

Ricette in continuo aggiornamento, suddivise per portata, e collegamenti ai video ufficiali con videoricette e altre utili informazioni. L’App è gratuita ed è suddivisa nelle seguenti sezioni: presentazione del Gorgonzola Dop con relativa storia e proprietà del formaggio, ma anche con curiosità che riguardano questo prodotto;  non manca la sezione dedicata alle news con le sagre e alle tanto amate degustazioni di Gorgonzola; e ancora ricette, con la possibilità di effettuare una ricerca rapida per trovare la ricetta ideale e competibile con i prodotti che avete in casa: la sezione “vota le ricette” e condividile con gli amici e i video ufficiali del Consorzio, dagli spot pubblicitari alle videoricette.

Il gorgonzola a bordo del TITANIC. Un transatlantico di sapore. 

RMS Titanic, 14 aprile 1912. Nel ristorante di prima classe, la cena volge al termine e i camerieri arrivano con il plateau du fromage . Unico “invitato” tra gli italiani, in quell’ultima cena, c’è il Gorgonzola, lo racconta il menu di quel primo e ultimo viaggio in mezzo all’Atlantico. La casa d’aste online newyorkese «Lion HeartAutographs» ha battuto a 160 mila dollari due menu del Titanic trovati nella borsetta di una delle sopravvissute al naufragio: uno illustra le pietanze per la cena di inaugurazione del transatlantico e uno per il primo giorno di navigazione. In tutte e due le carte di prima classe spicca il formaggio «made in Novara».

Grazie alle ricerche continue condotte dal Consorzio Gorgonzola, è emerso che il tipico formaggio novarese, già nel secolo scorso, era servito sui transatlantici. Già nota la presenza del gorgonzola oltre che nel suddetto menù del Titanic, si è scoperto l’inserimento in due altri menù di altrettanti transatlantici: il primo, del 1927, era in occasione del viaggio inaugurale dell’Augustus sulla linea Genova – Napoli – Buenos Aires, il secondo menù contenente il gorgonzola fra la scelta di formaggi per i passeggeri, risale al 1930 ed era presente sul transatlantico Roma per la linea Genova – Napoli – New

Si puo’ scaricale l’App da iOS e da Android

FA BENE ALLA SALUTE – E’ un formaggio dal sapore forte, per cui non a tutti piace, che a quanto pare ha grandi proprietà terapeutiche e benefiche per il nostro organismo. Nel Medioevo non a caso lo si usava per curare i disturbi gastrointestinali e, in particolare, per i problemi di costipazione; era poi convinzione diffusa che i “mangiatori abituali” di gorgonzola godessero di ottima salute.

Ad apportare benefici alla salute, a quanto pare, sarebbero proprio le muffe di questo tipico formaggio, ma anche i fermenti lattici, che sono indispensabili per la produzione del gorgonzola. Mentre le muffe appartengono alla specie “Pennicillum roqueforti”, i fermenti lattici sono molto simili a quelli presenti nello yogurt e a quelli che si possono acquistare in farmacia. Inoltre, affinchè muffe e fermenti possano riprodursi, è necessario che il gorgonzola venga prodotto solo ed esclusivamente con latte proveniente dalle mucche della zona DOP, quindi non inquinato in alcun modo da pesticidi o antibiotici: ecco perché il gorgonzola, tra i formaggi, e uno dei “più salutari”.

Amico della salute – E’ un toccasana per la flora batterica intestinale e apporta all’organismo tutta una serie di nutrienti che possono soltanto far bene alla salute: vitamine, minerali e proteine nobili. Il gorgonzola è ricchissimo di vitamina A, B2, B5 e B12 e, ovviamente, di calcio, sodio, magnesio, selenio e fosforo. Se paragonato ad altri formaggi, lo “zola” ha una percentuale di grassi decisamente contenuta, mentre a livello di calorie 100 grammi di gorgonzola forniscono 350 kcal, così come l’Emmental, ma decisamente meno di formaggi come il pecorino o il parmigiano. Il gorgonzola inoltre grazie al suo gusto forte e inconfondibile è particolarmente attraente agli ammalati disappetenti che soffrono di malattie croniche e neoplastiche.

Uno stuzzichino favoloso – Lavare le mele, rimuovere il torsolo e tagliarle a fettine sottili. In una padella sciogliere il burro, versare le fettine di mele e sfumare con un goccio di vino bianco. Poi unire lo zucchero di canna e far cuocere a fuoco basso, fino a che le mele saranno cotte e caramellate.

Rivestire la leccarda con carta forno, posizionare su di esse le fette di pane e metterle nel forno già caldo a 180° per 5 minuti, fino a doratura.

  • 5 fette Pane
  • 100 g Gorgonzola
  • 300 g Mele
  • q.b. Noci
  • 15 g Burro
  • 20 ml Vino bianco
  • 10 g Zucchero di canna

I MIGLIORI PRODOTTI SCELTI

BARUFFALDI (Castellazzo, Novara) Si chiama ‘l’Angelo’, come il suo creatore. E il nome porta davvero bene a questo Gorgonzola dolce che, piano piano, sta conquistando l’interesse dei gourmet di tutto il mondo, Asia compresa. Brioso, stupendo nelle sfumature e nella cremosità.

GUFFANTI (Arona, Novara)Carlo Fiori è uno dei più apprezzati affinatori a livello mondiale. Nel suo ‘caveau’, a poche decine di metri dal lago Maggiore, riposano Gorgonzola d’autore, portati nella versione piccante ad affinamenti importanti e protratti (anche oltre 200 giorni). Di venature intense e un ricco bouquet aromatico che, tuttavia, si rivela sorprendentemente elegante.

LATTERIA SOCIALE DI CAMERI (Cameri, Novara)Più di cent’anni di vita da quando – era il 1914 – i primi allevatori costituirono la cooperativa, con l’obiettivo di conferire e trasformare direttamente la produzione di latte delle singole cascine (il boom sarà negli anni Quaranta, con oltre 400 realtà associate). A San Lucio, patrono dei casari, è dedicata la selezione di punta: armonico il ‘dolce’, il ‘piccante’ è gradevolmente pastoso, intenso, incisivo.

MARIO COSTA (Cameriano, Novara) Tradizione antica e, da pochi anni, un nuovo stabilimento a baricentro tra le città di Novara e Vercelli, nel cuore delle ‘terre del riso’. Il ‘Dolcificato Gran Riserva’ si distingue per la morbida cremosità ed è soave nella progressione del gusto, che si fa rotondo e durevole.

OIOLI (Cavaglietto, Novara) Il ‘Dolce Arianna’ è avvolgente, di grande equilibro. E’ prodotto nel cuore della pianura novarese, dove è marcata la tradizione zootecnica e lattiero casearia: la tradizione del caseificio è forte di oltre trent’anni d’esperienza.

CASEIFICIO TOSI (Gattico, Novara) – Azienda familiare situata nelle vicinanze del Lago Maggiore da tre generazioni  produce erborinati ed in particolare Gorgonzola Dolce Dop. Tutto il ciclo produttivo dalla caseificazione alla salatura e stagionatura è realizzato con metodi tradizionali e artigianali.

IGOR (Cameri, Novara)Il ‘Gran Riserva Leonardi’ è l’imperdibile prodotto di punta della realtà oggi leader (mondiale) nella produzione di Gorgonzola. Frutto di un’attenta selezione, rende merito alla storia di un’arte casearia di tre generazioni. Grande equilibrio nei toni, cremosità perfetta.

FORSE NON SAI CHE:

È opinione diffusa che il gorgonzola sia un formaggio particolarmente grasso e calorico. In realtà ha le stesse caratteristiche di molti altri formaggi. Inoltre, un etto di gorgonzola ha la stessa quantità di colesterolo di 100 grammi di carne MAGRA di vitello (70 mg), di fuso di tacchino, di pollo (senza pelle), di bresaola o di orata e branzino di allevamento.

Grazie all’alto contenuto di minerali e vitamine, il gorgonzola Dop è un alimento completo ad alta digeribilità, naturalmente privo di glutine. È appurato che il suo gusto e il suo aroma provochino un’attivazione sensoriale che stimola la secrezione di bile e di succo pancreatico, favorendo così la digestione dei grassi e delle proteine.

Un’ importante ricerca è quella commissionata direttamente dal Consorzio per la tutela di questo formaggio a Mario Del Piano, medico gastroenterologo, per appurare il quantitativo di lattosio presente nel gorgonzola. I risultati evidenziano come il gorgonzola Dop sia «naturalmente privo di lattosio» (<0.1 g/100g) e vengono confermati da una sperimentazione in collaborazione con il Centro di Ricerca CREA di Lodi. Il gorgonzola può essere, quindi, consumato anche da chi soffre di intolleranze alimentari (circa il 70% della popolazione adulta). Già in passato il professor Del Piano aveva sottolineato come le particolari qualità nutritive del gorgonzola, che veniva impiegato sin dal Medioevo nella cura dei disturbi gastro-intestinali, fanno sì che ancora oggi venga somministrato ai malati inappetenti in caso di patologie croniche e neoplastiche.

Il Gorgonzola DOP è un formaggio prodotto senza l’impiego di alcun additivo o conservante. Per la produzione viene infatti utilizzato esclusivamente latte di alta qualità senza disinfettanti pesticidi o antibiotici. Se così non fosse non potrebbero riprodursi le tipiche muffe.

Questo formaggio è perfetto con le verdure crude (sedano, pomodorini, peperoni, ravanelli), sulle insalate dopo aver creato una delicata salsa dressing, o con ortaggi cotti (patate, zucche, broccoli, zucchine). Benissimo l’abbinamento con la frutta di stagione (fichi, pere, mele, kiwi, fragole) o con quella secca, ma soprattutto con il miele d’acacia e le marmellate (confettura di agrumi), le mostarde di frutta mista o di castagne o fichi e con le salse di verdura (salsa di cipolla rossa), in particolare per quanto riguarda il gorgonzola piccante. Tra le ricette classiche che meglio sfruttano l’aroma e la consistenza del gorgonzola: nel risotto, sulla pasta, con la polenta.

Durante gli anni Quaranta, nei fine settimana partiva da Novara un treno-merci carico di forme dirette a Londra. Tra le destinazioni: il ristorante della Camera dei Comuni. Sarà stato probabilmente lì che un giovane Winston Churchill si innamorò dell’erborinato italiano. Diventato Primo Ministro, durante la Seconda guerra mondiale, contrassegnò con un cerchietto rosso la zona di Gorgonzola per evitare che i bombardieri distruggessero i caseifici in cui veniva prodotto il suo formaggio italiano preferito.

NOTIZIE E CURIOSITA’

La qualità e l’autenticità del gorgonzolainserito nella lista dei prodotti D.O.P. dal 1996, sono assicurate da una severa legislazione che definisce la zona geografica per la raccolta del latte e la stagionatura, oltre agli standard di produzione.

Forse non tutti sanno che solo il latte degli allevamenti bovini delle provincie di Novara, Vercelli, Cuneo, Biella, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Monza, Pavia e Varese, Verbano-Cusio-Ossola e il territorio di Casale Monferrato può essere utilizzato per produrre il gorgonzola conferendogli la denominazione d’origine protetta.

Ogni forma di gorgonzola deve essere marchiata all’origine e riportare sempre l’indicazione del caseificio in cui è stata prodotta. Perché possa essere venduto come tale, il gorgonzola D.O.P. deve essere avvolto in fogli di alluminio recanti la  del Consorzio senza la quale il formaggio semplicemente non è gorgonzola!

Il Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola è stato creato nel 1970 ed ha sede a Novara. E’ un ente senza fini di lucro che raggruppa 38 caseifici che rappresentano il 100% della produzione globale. Il Consorzio, che dipende direttamente dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha il preciso scopo di vigilare sulla produzione e sul commercio del gorgonzola DOP e sull’utilizzo della sua denominazione al fine di tutelare produttori e consumatori. Il Consorzio promuove tutte le iniziative tese a salvaguardare la tipicità e le caratteristiche del gorgonzola preservandole da ogni abuso, concorrenza sleale, contraffazione, uso improprio della DOP e comportamenti illeciti. Inoltre, in collaborazione con le Università, gli Istituti di ricerca e gli Istituti Tecnici Lattiero-Caseari, il Consorzio promuove ricerche tecnico-scientifiche.

  • Il Gorgonzola è il 3° formaggio di latte vaccino per importanza nel panorama dei formaggi DOP italiani, dopo i due grana

  • 720 milioni di euro circa è il volume d’affari del gorgonzola al consumo oggi.

  • 4.581.155 forme è stata la produzione globale di Gorgonzola Dop (Dolce e Piccante) nel 2016

  • La tipologia “Piccante”, con le sue 516.363 forme prodotte nel 2016, rappresenta l’11,27% della produzione totale (dato in costante crescita)

  • 37 aziende associate e 3000 aziende agricole sono dedicate alla produzione di Gorgonzola nella zona consortile

  • 16 le province, distribuite tra Piemonte e Lombardia, che costituiscono la zona consortile.

  • In Italia le vendite si suddividono per il 65% al nord-ovest, 19% nel nord-est, 9% nel sud e nelle isole e il 7% al centro.

  • Il 34% della produzione è destinato all’esportazione, prevalentemente nell’Unione Europea (con la Germania e la Francia che assorbono più del 50% dell’esportazione totale), ma anche negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone, paese in cui il consumo di formaggi italiani è in forte crescita.

IL VINO GIUSTO PER UN FORMAGGIO DIFFICILE…CARATTERISTICHE DI UN VINO PERFETTO PER IL GORGONZOLA

In generale, i vini più adatti ad accompagnare il Gorgonzola devono avere caratteristiche precise:morbidezza di corpo, cioè massiccia presenza di zuccheri che servono a smorzare l’amaro del formaggio e un buon grado alcolico, almeno attorno ai 15°. In questo modo si pulisce il palato dalla sensazione di grasso che formaggi come il Gorgonzola lasciano sempre in bocca. Il grado zuccherino tuttavia non deve essere eccessivo altrimenti impasterebbe solo la bocca.
Profumi ben evidenti e un giusto grado di acidità sono altre caratteristiche importanti perché aiutano a bilanciare il gusto del formaggio. Per capire se un vino ha il giusto grado di acidità, aumenterà la salivazione ogni volta che si deglutirà. Entrando nello specifico, però, per scegliere il vino che meglio si abbina il Gorgonzola che abbiamo nel piatto, dobbiamo sapere che tipo di Gorgonzola si tratta. Esso può essere, in generale, suddiviso in:

  • Dolce (o cremificato)
    E’ il formaggio giovane, cremoso, caratterizzato da un gusto più delicato.

  • A lunga fermentazione 
    90 giorni di età, dal sapore un po’ deciso.

  • Stagionato
    120, 150, 180, 300 giorni di invecchiamento, più duri e consistenti, sapore forte e piccante.

  • I VINI ADATTI AL GORGONZOLA DOLCE

Per il Gorgonzola dolce, i più adatti sono i vini bianchi aromatici passiti, come il Passito di Pantelleria, il Marsala bianco e tanti altri. Oppure le “vendemmie tardive“, come ad esempio l’altoatesino Gewurztraminer. Questi ultimi sono quei vini prodotti con uve raccolte un paio di settimane oltre il tempo di vendemmia.

  • VINI MUFFATI PER IL GORGONZOLA STAGIONATO

Per il Gorgonzola più stagionato (da 60 a 150 giorni) i vini ideali sono i cosiddetti “muffati”. Essi sono vini nati da uve attaccate da una muffa, la Botritis Cinerea o “muffa nobile“. Mentre nei passiti l’uva è disidratata dal sole e dall’aria corrente, nei muffati, invece, è queste muffa ad entrare in azione. Essa infatti attacca la buccia degli acini e, per sopravvivere, succhia l’acqua contenuta  nel succo concentrando gli zuccheri e regalando profumi e sapori particolari. Ovviamente, perché la muffa nobile si sviluppi, devono esserci condizioni climatiche favorevoli e vitigni adatti. Uno tra i vini muffati più apprezzati e più conosciuti è il Sauternes, prodotto in Francia, nella zona di Bordeaux, dove la vendemmia è un rito e spesso gli acini sono raccolti uno ad uno.

  • VINI PASSITI LIQUOROSI  E ROSSI INVECCHIATI PER IL GORGONZOLA PICCANTE

Il Gorgonzola si fa sempre più consistente, profumato e soprattutto piccante. A questo punto, per creare il giusto abbinamento, abbiamo bisogno di vini passiti liquorosi e vini rossi  dal lungo invecchiamento (anche 10 anni), come i più famosi BaroloBarbarescoAglianico, Amarone della Valpolicella o Primitivo di Manduria. Per quel che riguarda i vini passiti liquorosi possiamo scegliere per esempio:un Barolo Chinato, classico vino piemontese aromatizzato e speziato. Il Picolit, vino friulano dorato e dalla grande importanza di frutta esotica al naso e morbidezza in bocca. La Vernaccia di Oristano, color topazio, con naso di albicocca e velluto in bocca. L’Apinae Moscato Reale definito “vino spirituale” dal grande Luigi Veronelli, di origine molisana e di assoluto pregio.


RICETTE NOVARESI RACCOLTE QUA e LA.

RANE IN GUAZZETTO

La ricetta delle rane in guazzetto è tipica del Novarese, che non è solo terra di risaie ma anche di rane, che un tempo, durante l’estate, venivano pescate e cucinate dalla povera gente di campagna. La tradizione vuole che l’andare per rane fosse un compito riservato alle ragazze, che munite di una canna di bambù sostavano lungo gli argini delle risaie e adescavano le prede simulando il loro gracidare.

Ricetta e ingredienti: 1 Kg di rane, 3 pomodori maturi, farina bianca, burro, aglio, olio, sale, prezzemolo e pepe.

Marinare, infarinare e friggere le rane con burro e aglio; unire quindi i pomodori maturi pelati e tagliati a pezzetti; salare e pepare. Cuocere a fuoco basso, senza far restringere troppo la salsa (in tal caso aggiungere acqua calda). Prima di togliere dal fuoco aggiungere una manciata di prezzemolo tritato. Accompagnare le rane in guazzetto con della polenta.


MASARA’

La ricetta del Masarà è un classico della cucina tradizionale novarese. Un piatto unico in cui l’ingrediente principe è il salam d’la duja e che anticamente veniva servito con fette di pane di meliga (farina di mais). Il territorio novarese è infatti apprezzato per i salumi. La produzione più tipica di Novara è il salam d’la dujaSi tratta di un salame di puro suino, conservato sotto grasso in recipienti di coccio detti appunto “duje”.

Ricetta e ingredienti: 2 salamini della duja, 300 grammi di pomodori pelati, 50 grammi di lardo, 300 grammi di patate, 300 grammi di zucchine, una cipolla.

Scaldare sul fuoco una pentola con una noce di burro e un giro d’olio d’oliva; mondare e tagliare a fette una cipolla e mettere il trito nella pentola con il lardo. Far imbiondire e unire i 2 salamini della duja. Dopo aver rosolato i salamini, la cipolla e il lardo per alcuni minuti, aggiungere 300 grammi di pomodori pelati, privati dei semi e tagliati a pezzi. Quindi, sbucciare e lavare 300 grammi di patate e 30 grammi di zucchine; tagliare il tutto a fette piuttosto spesse e mettere tutto in pentola insieme ai salamini e al pomodoro. Salare, pepare e far cuocere con coperchio, aggiungendo via via acqua calda. Una volta pronto, servire caldo.


BURDON COTTI

I “burdon” cotti sono un piatto tipico della tradizione gastronomica novarese. Si tratta di un secondo a base di rape e salsiccia nell’uso di Prato Sesia.

Ricetta e ingredienti: rape, salsiccia, sale, olio

Sbucciare e affettare (non troppo sottili) le rape; farle rosolare in un tegame con un po’ di olio di oliva. A questo punto, aggiungere la salsiccia tagliata a pezzetti, salare e portare a cottura.


CINGHIALE AL VINO ROSSO DI BOCA

Il cinghiale al vino rosso di Boca è un piatto della tradizione novarese, in particolare della zona delle Colline Novaresi dove viene prodotto il Boca Doc, vino rosso prodotto sull’intero territorio del comune di Boca e parzialmente in altri quattro comuni: Grignasco, Prato Sesia, Cavallirio e Maggiora. Il Boca Doc viene prodotto con uve provenienti da tre diversi vitigni: il Nebbiolo, in percentuale maggiore, la Vespolina, e la Bonarda. Sono diverse le ricette del territorio che utilizzano il Boca come ingrediente speciale, tra queste c’è appunto quella del cinghiale al vino rosso.

Ricetta e ingredienti: un cosciotto di cinghiale, aceto di vino, carote, cipolle, scalogna, sedano bianco, aglio, prezzemolo, alloro, vino rosso Boca Doc, burro, un ettogrammo di prosciutto crudo, farina di frumento, sale, timo, chiodi di garofano, cannella, zenzero, finocchietto, coriandoli, noce moscata, pepe bianco.

Preparare una marinata composta da carote, cipolle, scalogno, bianco di sedano, spicchi di aglio schiacciato, prezzemolo tritato, timo, alloro, sale, abbondante Boca Doc, (che dovrà poi coprire interamente il cosciotto), prosciutto crudo. A questo punto, in un mortaio schiacciare un misto così composto: chiodi di garofano, cannella, zenzero, finocchietto, coriandoli, noce moscata, pepe bianco. Disossare quindi il cosciotto di cinghiale, batterlo bene internamente con un mazzuolo di legno, lavarlo con aceto abbondante per togliere l’odore di selvatico, metterlo in una terrina e coprirlo con la marinata. Lasciarlo in marinata per tre o quattro giorni rivoltandolo qualche volta. Trascorso il tempo necessario, sgocciolare il cosciotto, legarlo con uno spago per alimenti, ricoprirlo con un fine strato del miscuglio preparato nel mortaio. Ungere di burro una pignatta di terracotta, mettervi il cosciotto, cospargendolo leggermente di sale, ricoprirlo con le fette di prosciutto crudo e versarvi la marinata passata al passino fine. Procedere fino a un quarto di cottura a fuoco lento, irrorando con il Boca Doc. Mettere alla pignatta il coperchio, sigillandolo con il pastone preparato in precedenza con la farina e l’acqua per evitare l’evaporazione, passare nel forno a calore moderato senza mai rimuovere. Servire caldo.


RUSTIDA

La Rustida è una ricetta tipica della tradizione gastronomica novarese, in particolare della zona di Oleggio. E’ un secondo piatto a base di carne; un tempo veniva cucinato quando si uccideva il maiale e, proprio per evitare qualsiasi spreco, si usavano anche le frattaglie.

Ricetta e ingredienti (per 4 persone): 150 grammi di lombo di maiale, 150 grammi di polmone, 150 grammi di cuore, 150 grammi di salsiccia, due cipolle, salsa di pomodoro, burro, un mestolo di brodo, sale e pepe.

Soffriggere nel burro le cipolla affettate; quindi aggiungere cuore, polmone, salsiccia e lombo di maiale a pezzi. Quando saranno ben rosolati, incorporare la salsa di pomodoro diluita in acqua calda; lasciar asciugare la salsa e aggiungere un mestolino di brodo. Ultimare la cottura e servire. Accompagnare con polenta o con pane di granturco.


RUSTICION

Piatto tipico del Novarese, il Rusticiòn è un tortino di verdure preparato con patate, verza, rapa e tarassaco.

Ricetta e ingredienti: patate, foglie di rapa, verze, erbette aromatiche, foglie di tarasacco, uno spicchio d’aglio, olio d’oliva, sale, pepe.

Pulire e mondare le verdure e le patate, quindi lessarle separatamente. In una padella mettere l’aglio ed un filo d’olio; dopo pochi minuti unire le verdure e le patate.Lasciare rosolare, quindi cuocere a fuoco lento. Con un cucchiaio di legno mescolare delicatamente per tutta la cottura, fino a formare un tortino croccante da ambo le parti. Il Rusticiòn è ottimo sia caldo che freddo.


FRITA’ RUGNOSA

La Frità Rugnosa è un piatto tipico del Novarese. Si tratta di una frittata preparata con il salame della duja, insaccato tipico della provincia di Novara.

Ricetta e ingredienti: 200 grammi di salame della duja; 8 uova; formaggio grattuggiato; sale e pepe.

In una padella far rosolare con dell’olio il salame della duja sbriciolato per 5 minuti circa. A parte, in una terrina, sbattere le uova con il parmigiano grattuggiato, poco sale e un pizzico di pepe. Versare il tutto nella padella con il salame. Rimescolare e appiattire la frittata con una paletta. Lasciare cuocere da un lato, poi capovolgere e cuocere anche dall’altra parte. Una volta pronta, servire la frittata con verdure crude e foglioline di prezzemolo.


GNOCCHI AL GORGONZOLA

Gli gnocchi al gorgonzola sono un piatto tipico del novarese dalla storia antica, in cui il gorgonzola dolce è l’ingrediente principe.

Ricetta e ingredienti: 700 grammi di patate; 200 grammi di farina; 100 grammi di gorgonzola dolce; un uovo; burro e sale.

Mettere le patate in una pentola con acqua fredda con un pizzico di sale grosso, coprire e lasciare cuocere. A cottura ultimata, sbucciare le patate ancora calde, passarle nello schiaccia patate e lasciarle intiepidire; a questo punto, amalgamare insieme alle patate 50 grammi di gorgonzola, l’uovo e impastare il tutto con poca farina formando una palla da lavorare con le mani, aggiungendo farina. Tagliare l’impasto a pezzi, con le mani formare dei cordoncini del diametro di un pollice e tagliarli ulteriormente in piccoli pezzi da circa 3 centimetri. Preparare quindi il sugo versando la panna in un tegamino, aggiungere il gorgonzola a pezzetti mescolando finchè si sia sciolto. Cuocere infine gli gnocchi in acqua salata e, una volta pronti, condirli con il sugo al gorgonzola.


GNOCCHI DI PATATE
(ricetta originale)
• 1 kg di patate
• 200 g di farina
• 1 uovo
• sale
Procedimento: Sbucciate le patate, lessatele a vapore per circa 30 minuti. Comunque scolatele al dente. Passatele allo schiacciapatate ancora calde. Impastate il passato con la farina, l’uovo e un pizzico di sale, deve risultare alla fine una pasta omogenea e soffice. Fate attenzione al rapporto patate/farina: se abbonda la farina gli gnocchi riescono duri; se abbondano le patate, tendono a disfarsi durante la cottura. Quando la pasta è pronta formate dei lunghi rotolini dello spessore di poco più di un dito, tagliateli a pezzetti di due centimetri, passateli sul rovescio della grattugia premendoli delicatamente con l’indice, disponeteli su un tovagliolo infarinato. Lessateli in abbondante acqua poco salata. A mano a mano che vengono a galla ritirateli con la paletta bucata, sgocciolateli, metteteli sul piatto da portata e conditeli subito con la salsa prescelta.


RISOTTO ALLE RANE

La ricetta del risotto alle rane è tipica del Novarese. Insieme alla Paniscia, è uno dei primi piatti tradizionali della cucina di Novara e provincia.

Il Novarese, infatti, non è solo terra di risaie ma anche di rane, che un tempo, durante l’estate, venivano pescate e cucinate dalla povera gente di campagna. La tradizione vuole che l’andare per rane fosse un compito riservato alle ragazze, che munite di una canna di bambù sostavano lungo gli argini delle risaie e adescavano le prede simulando il loro gracidare.

Ricetta e ingredienti (per 6 persone): 500 grammi di riso arborio; 50 rane; 100 grammi di burro; 3 cucchiai di olio d’oliva; 1 dl di vino bianco; 1 bicchierino di brandy; 100 grammi di formaggio grattuggiato; 5 dl di latte; cipolla; trito di aglio, carota e prezzemolo.

Per cominciare bisogna sfilare l’ossicino e far rosolare da entrambe le parti le coscette di rana in una teglia dove soffrigge l’olio con il trito di aglio, carote e prezzemolo. Salare e pepare; al termine bagnare con il brandy e sfumare con il vino bianco. A questo punto, far ridurre il tutto e abbassare il fuoco. Lasciare cuocere le rane per circa 15 minuti, mescolandole di tanto in tanto per evitare che si attacchino. A parte, preparare un brodo leggero immergendo in un litro e mezzo di acqua leggermente salata il corpo rimasto delle rane. Nel frattempo in una casseruola cominciare a cuocere il risotto: dopo aver imbiondito la cipolla mondata e tritata in 30 grammi di burro, aggiungere il riso e lasciare insaporire per qualche minuto; quindi bagnare con un litro di brodo e mescolare. Proseguire con la cottura del riso, aggiungendo il brodo man mano che il riso si asciuga e continuando a mescolare. Cuocere il riso al dente e, una volta pronto, mantecarlo con il burro rimasto. Lasciar riposare per un minuto, poi completare il piatto aggiungendo le cosce di rana con il loro sugo. Servire il risotto molto caldo con del formaggio grattugiato.


TAPULONE

Il Tapulone è forse il piatto più antico del Novarese.

Secondo le leggenda, infatti, la ricetta del Tapulone è contemporanea alla fondazione di Borgomanero. La tradizione popolare racconta che nel XII secolo un gruppo di pellegrini di ritorno dal Lago d’Orta, vinti dalla fame, decisero di fermarsi in un luogo disabitato nelle vicinanze (dove oggi sorge la città agognina) e di sacrificare il loro asino per potersi sfamare. Per attenuarne la durezza, la carne fu spezzettata finemente con un coltello e cotta a lungo nel vino.

Oggi il Tapulone rientra tra le tipicità della tradizione gastronomica novarese e viene soprattutto preparato, in particolare nel borgomanerese, l’ultima domenica di settembre.

Ricetta e ingredienti: 1 kg di polpa d’asino macinata grossa, una testa d’aglio, un cucchiaio d’olio, sale, pepe, chiodi di garofano e qualche foglia di alloro. Il tutto innaffiato da vino rosso delle colline novaresi. La testa d’aglio va schiacciata in una casseruola con l’olio a fuoco vivo fino a farla friggere, quindi (in attesa di aggiungere i chiodi di garofano, le foglie di alloro ed il vino) va versata la carne con sale e pepe. Cuocere per circa un’ora e poi servire, accompagnandolo con della polenta e un buon bicchiere di vino rosso.


RISO E FAGIOLI

La ricetta della minestra di riso e fagioli è un classico della cucina Novarese. Un piatto della tradizione, in cui l’ingrediente principe è uno dei prodotti tipici del territorio: il riso.

Ricetta e ingredienti (per 4 persone): 200 grammi di fagioli, 300 grammi di riso, una cipolla, 2 coste di sedano, 3 carote, 2 pomodori, una patata.

Mondate e lavate le verdure, sbucciatele e tagliatele a pezzettini; sciacquate i fagioli, che avrete precedentemente lasciato in ammollo per almeno 12 ore. Mettete il tutto in una pentola, aggiungetevi 2 litri di acqua e cominciate a cuocere a fuoco lento (per un’oretta circa). Quando i fagioli e le verdure saranno quasi cotti, salate a piacere e aggiungete il riso e un po’ d’olio; lasciate cuocere per altri 18 minuti.


MERLUZZO IN UMIDO

Il Merluzzo in umido è un piatto tipico della tradizione gastronomica novarese, che di solito viene accompagnato con della polenta. Ecco come si cucina a Prato Sesia.

Ricetta e ingredienti: 1 Kg di baccalà, 6 cipolle medie, 200 grammi di passata di pomodoro, sale e olio.

Dissalare il baccalà lasciandolo 36 ore in acqua, che dovrà essere cambiata di sovente. In un tegame mezzofondo soffriggere nell’olio le cipolle affettate e aggiungere il baccalà a pezzetti e il pomodoro. Lasciare cuocere a fuoco medio fino a cottura ultimata. A questo punto aggiustarlo di sale, se necessario. Servire e accompagnare con polenta cotta in paiolo.


PERSICO BURRO E SALVIA

Il filetto di Persico al burro e salvia è un piatto tipico del Novarese, in particolare della zona dei laghi.

Ricetta e ingredienti (4 persone): 600 grammi di persico pulito, 150 grammi di buro, marinata di olio e succo di limone, 2 uova, pane grattugiato, 4 patate medie lessate, prezzemolo, salvia, sale e pepe.

Mettere a marinare in olio e succo di limone i filetti di Persico per circa un’ora, per poi sgocciolarli e asciugarli delicatamente. Bagnare i filetti nell’uovo sbattuto e passarli nel pane grattugiato come per una normale panatura. In una teglia far cuocere nel burro caldo la salvia e immergervi i filetti di Persico. Cuocere da entrambe le parti fino a quando saranno ben dorati. Una volta cotti, servirli in un piatto con le patate lesse cosparse di prezzemolo fresco e fettine di limone.


RISO IN INSALATA ALLA NOVARESE

La ricetta dell’insalata di riso alla novarese è un piatto estivo della tradizione locale, in cui l’ingrediente principe è, non a caso, il riso.

Ricetta e ingredienti (4 persone): 320 grammi di riso tipo Vialone Nano; 4 acciughe lavate; olio d’oliva extravergine; prezzemolo; uno spicchio d’aglio; succo di limone; pepe.

Mettere a bollire in una pentola con acqua salata il riso per circa 10/12 minuti; scolarlo e lasciarlo raffreddare in una teglia. A parte, in un piccolo tegame, versare l’olio d’oliva extravergine e l’aglio sbucciato e lavato. Unire le acciughe lavate e private delle lische e mettere a scaldare il tutto senza far friggere l’olio, che deve solo scaldarsi per permettere alle acciughe di sciogliersi leggermente. Una volta che le acciughe saranno pronte, lasciar raffreddare e versare il composto sul riso. Aggiungere del prezzemolo fresco tritato, il succo di limone e un pizzico di pepe.


INVOLTINO DI VERZA

La ricetta dell’involtino di verza fa parte della tradizione della cucina novarese. Un piatto antico in cui l’ingrediente principe è il salamino della duja.

Ricetta e ingredienti (4 persone): una verza; 50 grammi di burro; aglio; 200 grammi di salamino della duja; 200 grammi di pane raffermo; un uovo; 20 grammi di formaggio grattugiato; prezzemolo; salsa di pomodoro; panna, sale.

Pulire la verza facendo attenzione a scartare le foglie più dire. Scottare le altre in acqua bollente salata per circa un minuto, scolarle  e immergerle subito in acqua e ghiaccio, quindi asciugarle delicatamente e stenderle sul tavolo. Bagnare il pane raffermo e strizzarlo. A questo punto preparare il ripieno: in un tegame soffriggere il salamino con il burro, l’aglio e il prezzemolo mondati e tritati. Schiacciare il salamino con la forchetta per spezzettarlo e unire il pane, un po’ di salsa di pomodoro, l’uovo, il formaggio grattuggiato e infine la panna. Amalgamare bene il tutto e farcire le foglie di verza, dando loro la forma di un involtino. Cospargere gli involtini di formaggio grattugiato, irrorare con un filo d’olio e infornare. Servire su un piatto con una salsina al gorgonzola fuso.


RISOTTO AL GORGONZOLA

La ricetta del risotto al gorgonzola è un classico della cucina Novarese. Un piatto che unisce due dei prodotti tipici della provincia.

Un primo piatto della tradizione che si prepara con il riso Arborio e il Gorgonzola, appunto.

Ricetta e ingredienti (6 persone): un litro e mezzo di brodo; un pezzo di bollito misto per il brodo; 2 cipolle; 2 carote; 2 gambi di sedano; 300 grammi di Gorgonzola; 100 grammi di formaggio grattugiato; burro; salvia; vino bianco secco; 500 grammi di riso.

Per cominciare bisogna preparare un trito di cipolla e salvia da far soffriggere per alcuni minuti. Al soffritto si aggiunge il riso, che va tostato e sfumato con il vino. A questo punto, irrorare piano piano con il brodo di carne bollente, preparato nel frattempo, e portare a cottura il riso (circa 20 minuti).  A fine cotture, aggiungere il Gorgonzola fuso, il burro e il formaggio grattugiato, mantecando energicamente fino a rendere il risotto cremoso.


TORTINO DI RISO E ZUCCHINE

Un piatto unico originale e gustoso per fare il pieno di cereali e verdure. Riso, zucchine, maggiorana, uova, latte, parmigiano: pochi ingredienti che combinati tra loro garantiscono un sapore appagante e aromatico, perfetto anche per i più piccoli. Una ricetta che prevede prima un passaggio in padella di tutti gli ingredienti e successivamente una cottura in forno di un’ora. Il risultato sarà una torta di riso compatta e profumata, una piacevole sorpresa dal successo garantito. Scoprite i consigli riportati nella nota per realizzare una versione in crosta di questa squisita torta di riso.

Ricetta e ingredienti: riso, zucchine, maggiorana, uova, latte e parmigiano.

Pulite, lavate e asciugate la maggiorana. Sbucciate la cipolla e tritatela. Lavate le zucchine, spuntatele e tagliatele a rondelle. Lavate le zucchine, spuntatele e tagliatele a rondelle. Scaldate 4 cucchiai di olio in una padella, fatevi cuocere dolcemente la cipolla per 2-3 minuti, unite le zucchine e rosolatele a fiamma vivace per circa 5 minuti. A fine cottura salatele e conditele con la maggiorana tritata. Portate a ebollizione mezzo litro di latte con 2 decilitri d’acqua e mezzo cucchiaino di sale grosso, lessatevi il riso per 12 minuti circa mescolando spesso, toglietelo dal fuoco e lasciatelo intiepidire. Accendete il forno a 180°. Imburrate un teglia rotonda di 22 centimetri di diametro e, quando il riso si è intiepidito, unite il latte freddo rimasto, il parmigiano, una macinata di pepe, le uova e mescolate bene. Aggiungete le zucchine, regolate di sale e trasferite il composto nella teglia. Infornate per 60 minuti circa fino a che il riso risulterà gonfio e dorato. Lasciate intiepidire e servite.


OCA FARCITA ALLA NOVARESE
Ingredienti – Oca già pulita e svuotata

per il ripieno: 300 gr di coscia di vitello, 200 gr di lardo, 100 gr di riso, 1 cipolle, un po’ d’aglio, prezzemolo
per la cottura: 2 cipolle, 30 gr di lardo raschiato, 1 etto di burro, una foglia di alloro

Tritate la coscia di vitello, il lardo, la cipolla, l’aglio e il prezzemolo; aggiungete sale, pepe e spezie, infine unite un etto di riso. Con il composto farcite un’oca, cucitela, adagiatela in una teglia da forno, nella quale avrete messo le cipolle tagliate, il lardo, il burro, sale, pepe e lauro. Ponete in forno e cuocete finchè l’oca non risulterà  tenera. Bagnate ogni tanto con il fondo di cottura. Servitela tagliata a pezzi con un buon risotto cotto nel suo sugo di cottura.


PANISCIA NOVARESE

Il nome Paniscia deriva da “Panico” un tipo di cereale utilizzato prima dell’introduzione del riso e che veniva usato per questo genere di preparazioni.

Ingredienti (4 persone) – 320 gr. Riso Carnaroli – 500 gr. Fagioli borlotti – 200 gr. Pomodorini – 60 gr. Sedano – 80 gr. Carote – 300 gr. Verza – 50 gr. Cotenna di suino – 150 gr. Salame d’la duja – 100 gr. Mortadella di fegato – 80 gr. Lardo – 120 gr. Cipolle – 50 gr. Burro – 60 gr. Vino rosso

Procedimento: Per preparare la paniscia alla novarese, iniziate dal minestrone di verdure: sgranate i fagioli borlotti, lavate e tagliate in due i pomodorini, quindi lavate e tagliate il sedano.
Pelate le carote e tagliatele prima a metà nel senso della lunghezza e poi a tocchetti, poi prendete la verza, togliete le foglie più esterne, privatela del torsolo centrale e tagliatela a listerelle non troppo piccole.
Procedete tagliando anche la cotenna di maiale a listarelle e poi in una pentola dai bordi alti andate a versare la cotenna, i fagioli, i pomodorini, le carote il sedano e infine la verza. Versate poi due litri di acqua fredda fino a coprire tutti gli ingredienti, salate, pepate, mescolate il tutto e lasciate andare per almeno due ore a fuoco lento. Nel frattempo che cuociono le verdure, dedicatevi al salame e alla mortadella di fegato: togliete la pelle dalla mortadella di fegato, tagliatela a tocchetti, poi con un foglio di carta da cucina pulite il salame dallo strutto, togliete la pelle poi tagliate anch’esso a tocchetti insieme al lardo, quindi mettete tutto da parte. Tritate la cipolla finemente, poi in un tegame ampio versate il burro e la cipolla sminuzzata e fatela appassire a fuoco lento per circa 7-8 minuti. Versate il lardo, il salame e la mortadella e fate cuocere per circa 5 minuti.
Unite il riso nel tegame, fatelo tostare per qualche minuto, mescolando, dopodiché sfumate col vino rosso. Una volta trascorse le due ore, quando il brodo sarà pronto aggiungetelo al risotto insieme anche alle verdure. Aggiungete il brodo man mano che evapora, poi spegnete il fuoco, lasciate riposare per circa 3-4 minuti e la vostra paniscia alla novarese è pronta per essere servita!


ALCUNI DOLCI TIPICI DEL NOVARESE

I BISCOTTI DI NOVARA

Straordinariamente leggeri – non contengono infatti burro ma solo farina, zucchero e uova – sono il biglietti da visita della città. Il tocco che distingue il Biscotto di Novara e contribuisce ad arricchirne il gusto è la spolveratina di zucchero vanigliato prima della cottura. Un tempo i Biscotti di Novara venivano venduti alla dozzina o al chilogrammo, le qualità più curate e meglio riuscite venivano confezionate avvolgendole a due a due con carta sottile. Oggi il prodotto viene presentato in scatole di cartone contenenti i biscotti avvolti in carta o in scatole chiuse ermeticamente che mantengono inalterata la freschezza del prodotto. Biscottini di Novara sono tipici delle zone piemontesi e le loro origini hanno radici nei periodi del Medioevo.
Questi biscottini venivano confezionati dalle monache di quei tempi chiuse nei conventi (venivano allora chiamati pani delle monache) e venivano offerti ai prelati in visita o donati agli ammalati negli ospedali.

  • 250 zucchero
  • 250 farina “00”
  • 4 uova
  • 1 tuorlo

Lavorare lo zucchero con le 4 uova e il tuorlo fino ad ottenere un composto spumoso. Unire a cucchiai la farina continuando a mescolare. Con l’aiuto di una tasca da pasticciere disporre il composto in nastri lunghi circa 8 cm sulla placca da forno imburrata e infarinata. Far riposare 20 minuti, quindi passare in forno già caldo a 180° gradi fino a quando i biscottini di Novara avranno preso una leggera doratura.


IL PANE DI SAN GAUDENZIO

Per tradizione è il dolce della festa patronale di Novara da oltre 50 anni. E’ una sorta di gustoso panettone con una superficie cosparsa di granelli di pinoli, nocciole e zucchero. Ha la caratteristica di essere rivestito esternamente con pasta frolla e arricchito di un soffice e ricco ripieno.

  • Per la pasta frolla:
    200 g di farina
    120 g di burro
    65 g Zucchero semolato
    1 tuorlo
    aroma di vaniglia
    aroma di limone
    1 pizzico di sale

Ammorbidire il burro con lo zucchero, aggiungere le uova e unire infine la farina setacciata assieme agli aromi. Lavorare il tutto e mettere poi il composto in frigorifero per almeno un’ora. Al termine stendere la pasta con un matterello, mantenendo uno spessore di circa mezzo centimetro.

Per il panettone:

  • 130 g farina
    130 g zucchero
    80/90 g uvetta sultanina
    75 g burro fuso
    4 uova
    aroma di vaniglia
    aroma o succo di limone
    granella di nocciole

Sbattere i tuorli con lo zucchero e a parte montare l’albume a neve, aggiungendo un cucchiaino di succo di limone. Unire i tuorli e zucchero all’albume e amalgamare delicatamente. Aggiungere poi la farina con l’uvetta e per ultimo il burro fuso.
Foderare lo stampo o la tortiera e riporre al suo interno la pasta frolla stesa. Ricoprirla per 3/5 con l’impasto ottenuto e cospargere il tutto con granella di pinoli o di nocciole o con marron glacé. Spolverizzare infine con zucchero a velo e cuocere in forno a 190° per 40-50 minuti.
Togliere dallo stampo il Pane di San Gaudenzio quando è ancora tiepido e, per conservarlo o portarlo in dono a qualcuno, avvolgerlo in una carta trasparente.


IL DOLCE DELLA CATTEDRALE

L’Antico Dolce della Cattedrale ha una forma rotonda,una consistenza soffice ed una superficie dalla colorazione dorata. La documentazione attestante l’esistenza di tale torta risale al secolo XII. Nel corso del tempo,però,alcuni ingredienti sono variati. L’antica ricetta è stata scoperta analizzando i libri dei cerimonieri della Cattedrale di Novara, di fine secolo XV, che illustrano i riti della Cattedrale di Novara. Da essi si evince che, in alcune feste stabilite veniva distribuito un pane a quanti partecipavano alla liturgia. In passato per renderlo più gustoso era mescolato con delle spezie. In particolare,da un manoscritto dell’Archivio Capitolare del secolo XVIII,si evince che esso era preparato con farina di frumento,zafferano, miele e frutta passa secondo le stagioni.

  • Farina bianca 00 500 g.
  • Zucchero 200 g.
  • Burro 180 g.
  • uova 5
  • lievito vanigliato 1 bustina
  • buccia di 1 limone
  • grappa di nebbiolo 2 bicchieri
  • latte 1 bicchiere
  • frutta (albicocche) 5
  • frutta prugne 5

Preparazione:

La sera prima della preparazione, dell’Antico Dolce della Cattedrale di Novara, snocciolate le prugne e le albicocche e tagliatele a fettine, quindi mettetele in infusione sotto la grappa di nebbiolo, fino a ricoprirle, per circa 24 ore. Impastate la farina con lo zucchero, le uova, il burro ammorbidito, il latte, la buccia di limone tritata fine fine e per finire lo lievito. Amalgamate bene il tutto e lasciatelo lievitare. A questo punto aggiungete la frutta sotto grappa e mescolate il tutto, stendete quindi l’impasto in una teglia da forno precedentemente imburrata.

Cuocete il dolce in forno preriscaldato a 180° per 45 min. A cottura terminata togliete dal forno e lasciatela riposare per almeno 12 ore (meglio 24 ore) prima di servirla e degustarla.


RUTTI MA BUONI

Brutti da vedere, forse, ma sicuramente buoni di mangiare. I Brutti ma buoni si confezionano mescolando l’albume montato con mandorle, zucchero e profumando con vaniglia. Questi dolci vennero prodotti per la prima volta nel lontano 1869 a Borgomanero.

  • 250 g di nocciole
  • 300 g di zucchero a velo
  • 5 albumi
  • burro per ungere la placca.

Preparazione:

Dopo aver tostato le nocciole in forno, liberatele della pellicina e tritatele grossolanamente.
In una casseruola ampia (ideale se di rame), montate a neve gli albumi, aiutandovi con la frusta, quindi unite il trito delle nocciole e lo zucchero a velo; ora, passate su fiamma docile, e sempre mescolando, amalgamate il composto. Sopra la placca appena imburrata, disponete mucchiettini dell’impasto, distanziati tra loro, pasate in forno piuttosto basso (140°-160°) di calore e lasciate cucinare per circa 25 minuti. Servite i biscottini freddi.
Variante: Molti preparano l’impasto lavorando lo stesso quantitativo di zucchero e di nocciole.


LE OSSA DA MORDERE

Altro dolce tipico di Borgomanero, simile ai Brutti ma buoni, anche come “età”. Per ottenere le Ossa da mordere si utilizzano infatti gli stessi ingredienti dei Brutti ma buoni, con l’aggiunta della farina, che rende il biscotto duro.

  • 250 g di farina
  • 100 g di nocciole
  • 100 g di mandorle dolci
  • 400 g di zucchero
  • 2 albumi
  • il succo di un limone
  • burro per ungere la placca
  • farina

Preparazione:

In una ciotola ampia, intridete la farina con gli albumi e lo zucchero, profumate con succo di limone, aggiungete le nocciole e le mandorle intere e seguitate a lavorare fino ad ottenere un composto piuttosto sodo. Sulla spianatoia (tagliere) allungate l’impasto come a formare un serpentello, che tagliate a fettine sottili 1/2 cm e lavorate per formarne tante piccole ossa.
Disponete i biscotti sopra una placca, imburrata e infarinata, quindi passate in forno (già caldo a 180°C) per circa 20 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare. Servite fredde.


IL GRAMOLINO DI GALLIATE

Tipico di Galliate, questo dolce si ottiene con zucchero, farina, burro, uvetta; viene poi lucidato con uova e ricoperto di granella di zucchero. Erano preparati in passato unicamente in occasione della ricorrenza di San Giuseppe, il 19 marzo, ma oggi sono confezionati da laboratori pasticceri artigiani anche durante tutto l’anno.

Ingredienti per circa 6 gramolini:
400 g di farina
150 ml di latte
10 g di lievito fresco
80 g di zucchero
1 uovo intero
50 g di burro a temperatura ambiente
uvetta a piacere
1 pizzico di sale
Granella di zucchero in quantità.

Preparazione:

Unire la farina, lo zucchero, l’uovo, il lievito, il latte e un pizzico di sale e amalgare bene il tutto. Quando l’impasto ha raggiunto una certa consistenza aggiungere il burro a pezzettini e le uvette e impastare il tutto molto bene.
Lasciare lievitare per almeno mezzora, intanto riscaldare il forno a 180°. Quando l’impasto è ben lievitato preparare dei filoncini lunghi circa 20 cm, spennellarli con latte e un uovo sbattuto e cospargerli con abbondante granella di zucchero.
Infornare quindi nel forno già caldo per circa 20 minuti. Se dopo i primi 10 minuti notate che i gramolini si stanno scurendo troppo, copriteli con un foglio di carta di alluminio per i restanti 10 minuti.


I BACI DI FARA

Il bacio di dama nasce nella città di Tortona più di un secolo fa e ancora oggi è prodotto secondo la ricetta originale in diverse pasticcerie della città piemontese.

Dietro ogni gioiello di pasticceria si nasconde una leggenda, che la tradizione puntualmente fa rivivere alimentando la fantasia di chi, goloso, mentre gode dei più squisiti assaggi, si cala nel passato immedesimandosi nei racconti che ormai non hanno più tempo. Immaginiamo, perciò, di entrare nella casa reale della famiglia Savoia, in un giorno d’autunno del 1852 (ma potrebbe essere in qualsiasi tempo) e di incontrare uno dei cuochi alle prese con fornelli, cucchiai, farine, zucchero e tutto ciò che potrebbe essere utile per soddisfare immediatamente una richiesta del suo Re, Vittorio Emanuele II: preparare un dolce dal sapore nuovo. Mescolando gli ingredienti e frullando insieme qualche idea fantasiosa, ecco che nascono i bacio di dama.

Lo scorrere del tempo ha reso immortale questo dolcetto diffondendolo in tutta Italia, e non solo. Ogni località ha modificato la ricetta originale e Fara, non è stata da meno.

Per 40 Baci di Dama

  • 160 grammi di farina
  • 170 grammi di nocciole
  • 100 grammi di burro
  • 120 grammi di zucchero
  • 80 grammi di cioccolato fondente
  • pizzico di sale

Preparazione:

Con uno schiaccianoci sgusciate tutte le nocciole, poi mettetele su un placca da forno, coperta di carta, e fatele tostare per 10 minuti a 180 gradi. Mettete le nocciole nel mixer e riducetele in polvere, deve essere una farina, non pezzettoni. Mettete la farina, le nocciole, il burro, e lo zucchero in una ciotola e mescolate, amalgamando tutti gli ingredienti, come se doveste fare dei frollini o una pasta frolla. Avvolgete la pasta frolla alle nocciole nella pellicola e mettete in frigorifero a riposare per un paio di ore. Togliete la pasta frolla dal frigorifero, fate tante strisce e tagliate a pezzetti, in tutto devono essere 80 per 40 Baci di Dama. Diciamo che come dimensione dovrebbero essere di 2 cm di lato, all’incirca come gli gnocchi. Se volete una misura più empirica, chiudete pollice e indice, come per fare il gesto dell’OK, e calcolate che ogni Bacio di Dama deve avere quel diametro.

Prima di partire mettete dalla carta forno su una placca da forno e scaldate il forno a 160 gradi. Quando siete pronti, impastate la pasta frolla e formate 80 palline, mettetele sulla palla e schiacciate leggermente per appiattire la parte inferiore. Cuocete i biscotti per 20 minuti, poi toglieteli dal forno e aspettate che si raffreddino.

Intanto sciogliete il cioccolato in un pentolino a bagnomaria, con calma e con un pezzetto di burro, rimescolando con un cucchiaio di legno.


BEATINE DI GHEMME

La festa prende le mosse da quanto accadde quasi sei secoli fa. Panacea nacque a Quarona, nel 1368, da Lorenzo de Muzi di Cadarafagno e Maria Gambino di Ghemme. La morte della madre indusse Lorenzo a risposarsi con Margherita. Panacea iniziò a subire continui maltrattamenti dalla matrigna che la faceva lavorare senza sosta. La tradizione vuole che, mentre Panacea era intenta alla preghiera, fossero gli angeli a lavorare per lei.
Una sera del 1383, la matrigna, non vedendola arrivare insieme al gregge andò a cercarla sul monte Tucri trovandola in preghiera. Furibonda, la colpì con la rocca che usava per filare uccidendola, poi, pentita, si gettò nel burrone. Le campane della chiesa si misero a suonare attirando la popolazione di Quarona che vide il corpo di Panacea accanto al fascio di legna che ardeva senza consumarsi. Solo con l’arrivo del vescovo di Novara si poté sollevare il corpo e porlo su un carro portandolo verso il paese. Giunto in un campo, il proprietario non volle che fosse seppellito, e i vitelli da soli condussero Panacea a Ghemme, fermandosi vicino alla chiesa dove era sepolta la madre. Era il primo venerdì di maggio del 1383. Da allora si è diffuso il culto della Beata.
Le Beatine di Gemme, sostanzialmente, sono dei biscotti di pasta frolla friabile e delicata con intenso sapore di burro. Questi biscotti raffigurano una martire con le mani giunte in preghiera, oppure in posizione distesa con tre fusi in testa, simbolo del martirio.

Ingredienti(per il primo impasto):

  • 150 grammi di mandorle
  • 150 grammi di zucchero a velo
  • un uovo intero

Ingredienti(per il secondo impasto):

  • 250 grammi di farina bianca
  • 150 grammi di burro
  • buccia di un limone grattato
  • un pizzico di sale

Preparazione:

Pestare le mandorle, passarle al frullatore fino ad ottenere una farina. Mettere la farina ottenuta in una bacinella, unire poco alla volta lo zucchero a velo e l’uovo intero. Lavorare il tutto con una spatola. A questo punto, mettere la farina bianca setacciata sul tavolo, fare un foro in mezzo e unire il primo impasto con il burro ammorbidito, il sale e la buccia grattuggiata del limone.

Impastare con le dita velocemente per ottenere un impasto più consistente. Lasciarlo riposare per circa un’ora, spolverare quindi di farina e coprire con un panno. Disegnare poi l’immagine della Beata alta circa 10 centimetri su di un cartoncino bianco. A questo punto, spolverare il tavolo di farina e tirare la pasta (dello spessore di circa un centimetro); appoggiare l’effige della Beata sulla pasta e ritagliarla con la punta del coltello. Passare infine le future Beatine su di una placca imburrata ed infarinata e cuocerle in forno a 170° C fino a quando non saranno dorate.


BISCOTTI CON FARINA DI RISO “VENERE”

Pestare le mandorle, passarle al frullatore fino ad ottenere una farina. Mettere la farina ottenuta in una bacinella, unire poco alla volta lo zucchero a velo e l’uovo intero. Lavorare il tutto con una spatola. A questo punto, mettere la farina bianca setacciata sul tavolo, fate un foro in mezzo e unite il primo impasto con il burro ammorbidito, il sale e la buccia grattugiata del limone.

Impastare con le dita velocemente per ottenere un impasto più consistente. Lasciarlo riposare per circa un’ora, spolverare quindi di farina e coprire con un panno. Disegnare poi l’immagine della Beata alta circa 10 centimetri su di un cartoncino bianco. A questo punto, spolverare il tavolo di farina e tirare la pasta (dello spessore di circa un centimetro); appoggiare l’effige della Beata sulla pasta e ritagliarla con la punta del coltello. Passare infine le future Beatine su di una placca imburrata ed infarinata e cuocerle in forno a 170° C fino a quando non saranno dorate.

Ingredienti per 30 biscotti:

  • 140 gr. di farina di riso venere
  • 100 gr. di farina di mais finissima
  • 80 gr. di zucchero
  • 80 gr. di olio di riso
  • 1 uovo
  • 1 cucchiaino di bicarbonato
  • 1 cucchiaino di zenzero tritato
  • scorza di 1 limone
  • succo di ½ limone
  • zucchero a velo

Preparazione:

Preparate la frolla per i biscotti ponendo su un piano di lavoro la farina di riso venere, quella di mais, lo zucchero, il bicarbonato, l’olio di riso, l’uovo, lo zenzero, la scorza ed il succo del limone e lavorate gli ingredienti fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo.

Formate con l’impasto una palla, avvolgetela nella pellicola trasparente e riponetela in frigorifero per 30 minuti. Trascorso il tempo necessario infarinate leggermente il piano e lavorate nuovamente la frolla, stendetela poi con l’aiuto di un mattarello e ritagliate i vostri biscotti ponendoli ordinatamente su una teglia foderata con carta forno. Cuocete i vostri biscotti per 15 minuti a 180°C ed una volta cotti e raffreddati spolverizzateli con lo zucchero a velo.


MARGHERITINE DI STRESA

Le Margherite di Stresa sono dei biscotti tondi con un incavo al centro, la cui forma ricorda il fiore della margherita. Sono preparate con un impasto ovis mollis realizzato con tuorlo d’uovo sodo, burro, zucchero a velo, farina ed amido di mais; l’impasto è aromatizzato con scorza di limone e vaniglia. L’elevata quantità di burro nella preparazione rende i biscotti friabilissimi.
Sono tipici della graziosa cittadina di Stresa, situata in Piemonte, sul Lago Maggiore.

Si racconta una romantica storia legata alla vita della Regina Margherita. Ed ecco cosa diceva la Regina a proposito di questi biscotti: “Mi sono vestita degli abiti più sfarzosi e dei gioielli più preziosi, ma nulla mi rende più appagata delle Margherite.”

Ingredienti per 50 biscotti:

  • 350 g di farina di grano
  • 150 g di fecola
  • 150 g di zucchero a velo
  • 300 g di burro
  • 10 tuorli d’uovo sodo
  • vaniglia
  • buccia di limone grattugiata

Preparazione:

Quanto al procedimento, i tuorli d’uovo devono essere passati al setaccio e poi lavoratati con il burro e lo zucchero. La fecola e la farina, precedentemente setacciate, vanno mescolate, disposte a fontana, e poi si aggiunge la vaniglia, la scorza di limone ed il burro e si impastano i diversi ingredienti fino ad ottenere un composto omogeneo che si lascia riposare in frigorifero per almeno 30 minuti. Poste sulla placca da forno, le “Margheritine” devono essere cotte a 180°C per 15 minuti; al termine della cottura, bisogna lasciarle raffreddare e spolverarle con lo zucchero a velo.


FRITTURA DOLCE NOVARESE

Le ricette della frittura dolce sono moltissime, ecco una delle tante possibili versioni per quattro persone.

  • semolino a dadini (8 pezzi)
  • amaretti (8 pezzi)
  • mele (4 pezzi)
  • 2 uova
  • ½ bicchiere di Marsala
  • 200 grammi di farina
  • ½ bustina di lievito
  • pane grattugiato.

Preparazione:

Passare il semolino nell’uovo e successivamente nel pangrattato; aggiungere all’uovo rimasto la farina e il latte, mescolando con una forchetta cerando così una pastella fluida. Intingere gli amaretti nel marsala, poi nella pastella e friggere in olio bollente. Passare le mele in pastella dopo averle tagliate a fette circolari, quindi friggerle nell’olio come per gli amaretti. Per ultimo friggere il semolino precedentemente impanato.

Una volta fritto tutto quanto, disporre la frittura dolce su di un piatto di portata.


BISCOTTI AL VINO ROSSO DI GHEMME

INGREDIENTI: circa 30 biscotti.

NOTA: Il quantitativo di farina misurato e del resto degli ingredienti si considera un comune bicchiere di plastica. Cambiando bicchiere potrebbero variare i grammi della farina: l’importante è ottenere un impasto umido ed elastico.

  • 1 bicchiere di olio evo (se dal gusto troppo forte, sostituirlo con olio di semi di mais)
    2 bicchieri scarsi di vino rosso (1 intero + 3/4 del secondo)
    1 bicchiere di zucchero semolato + quello per spolverizzare
    1 cucchiaino di lievito per dolci
    1 pizzico di sale
    550 gr di farina 00

Preparazione:

Mescolare in una ciotola l’olio, il vino e lo zucchero e aggiungere gradualmente la farina mescolata al lievito. Unire anche il sale e impastare fino ad ottenere un composto abbastanza compatto ed omogeneo.

NOTA: l’impasto potrebbe risultare appiccicoso, ma non demordete!

Avvolgerlo con della pellicola e lasciarlo riposare una mezzora, poi riprendere il composto.
Prelevarne piccole porzioni e ricavarne dei bastoncini con diametro circa 1,5 cm e chiudere ogni bastoncino su se stesso incrociandone leggermente le estremità esercitando una piccola pressione.
Passare ogni ciambellina in un piatto pieno di zucchero semolato facendo in modo che ne risulti completamente ricoperta.

Disporre i biscotti ben distanziati tra loro su una teglia rivestita di carta forno e riporre in forno statico preriscaldato a 180° per i primi 20 minuti.
Abbassare la temperatura a 150° e proseguire la cottura per altri 10/15 minuti tenendo lo sportello del forno leggermente aperto con una spatola di legno per poi spegnere e lasciare qualche minuto le ciambelline in forno spento, fin quando non risulteranno ben asciutte e croccanti.


BUSAROLA

La Busarola è un dolce tipico di Romagnano Sesia, a base di frutta secca. Non mancava mai nelle festività invernali e ogni massaia lo sapeva preparare.

Ricetta e ingredienti:

  • pasta del pane lievitata
  • zucchero
  • mandorle
  • nocciole a pezzetti
  • noci
  • uvetta
  • arance candite
  • uva
  • fichi secchi spezzettati.

Unire la pasta di pane lievitata con lo zucchero e tutti gli altri ingredienti. L’uvetta deve essere fatta prima rinvenire in acqua tiepida. Impastare bene e disporre l’impasto ottenuto in una terrina imburrata, dandogli la forma classica del pane. Cuocere in forno già caldo per 40 minuti a 180° C.


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